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Sulle strade dell’Aglianico lucano

a cura di Giulia Macrì
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Testo e foto di Giulia Macrì 

Basilicata on the road: il miglior modo per scoprirne sapori e tesori? Andar per cantine e degustare i suoi vini: sei denominazioni di origine (Aglianico del Vulture in testa) , etichette di pregio e un rinato festival enologico sono in grado di raccontare terroir e territorio, storia, identità e carattere di una regione piccola ma straordinariamente ricca di biodiversità e bellezze inesplorate. 

Basilicata, tanta bellezza ancora da svelare… magari partendo proprio dai suoi vini, l’Aglianico del Vulture in primis, espressione organolettica – suprema e totale, sia dal punto di vista bio-geo-climatico sia da quello storico e socio-culturale – del territorio. Dalle terre vulcaniche del Vulture, al Metaponto costiero e magno-greco, passando per un entroterra a tratti rude, montuoso (le cosiddette dolomiti lucane!), e per le piane fertili che ne fanno uno dei “granai d’Italia” (dove ha avuto origine la varietà Senatore Cappelli, per intenderci), tutto ciò che abita questi luoghi – sole, vento, tufo, sabbie e lapilli, campi, vigne, boschi, templi e “sassi”- parla delle origini antichissime dell’italica Lucania, ma anche della Basilicata odierna e delle sue nuove progettualità, che puntano alla riqualificazione e alla valorizzazione dei tesori passati e presenti: archeologici, naturalistici, agroalimentari, e, nella fattispecie, enologici. Di strada per un sano e proficuo sviluppo territoriale e turistico ce n’è da fare ancora molta; ma se, come si dice, chi ben comincia è a metà dell’opera, la Basilicata di sicuro agisce bene promuovendo con rinnovata energia cultura, accoglienza ed eccellenze locali, in particolare le pregiate produzioni vinicole e gastronomiche.

Aglianico e vecchi merletti… e nuove tecnologie

Se in fatto di viticolture possiamo risalire alle origini di alcuni secoli avanti Cristo e perciò parlare di testimonianze tra le più documentate in Italia di “archeo-agricoltura”, di vino e di enologia, qui, non si è mai smesso di occuparsi: tant’è che Aglianico – Festival Enologico della Basilicata, tenutosi lo scorso marzo a Potenza (promosso dalla Direzione Generale Politiche agricole, alimentari e forestali della Regione Basilicata, in collaborazione con APT Basilicata e organizzato da Consorzio di Tutela dell’Aglianico del Vulture e Slow Food Basilicata), ha dato seguito dopo un secolo e mezzo a una storica Mostra Enologica del 1887 e del 1888 – organizzata all’epoca da Michele Lacava (medico e personalità insigne della cultura enologica regionale), che con la Camera di Commercio di Potenza ebbe il merito di portare sulla scena nazionale studi, tecniche e soprattutto le produzioni vinicole della Lucania – rifondando impresa e intenti, non solo per ricostruire la storia e le grandi conquiste dei vitivinicoltori lucani, ma anche per valorizzarne i risultati presenti (1 DOCG, 4 DOC e 1 IGP) e guardare al futuro.  Che, per quanti sono stati al grande appuntamento nazionale di Vinitaly, a Verona, è già realtà. Vedi alcune delle novità della Cantina di Venosa, la cooperativa vitivinicola più importante della Basilicata, presentate alla grande rassegna veronese, all’insegna dell’innovazione, della sostenibilità e di una crescente qualità: le tre nuove etichetteSentinel Aglianico del Vulture Dop; Sentinel Basilicata Rosato Igt; e Sentinel Basilicata Bianco Igt –ottenute dalle uve di 140 ettari monitorati dal satellite Sentinel2, che raccoglie continuativamente i dati sulle condizioni meteo e agronomiche delle vigne, rilevando informazioni sensibili per la qualità dell’uva e dei vini, gestite di conseguenza. Anche a fronte dei cambiamenti climatici che stanno già condizionando coltivazioni, raccolti, rese, uve e annate, e che probabilmente influiranno sempre più sulle produzioni future.

Lucania da degustare

Protagonista di spicco dell’attuale produzione vinicola lucana è, come si diceva, l’Aglianico del Vulture, presente tra le denominazioni come DOCG (Superiore) e DOC, rosso vulcanico delle colline del Vulture, nel potentino, ma tra le DOC della regione si annoverano anche il Matera DOC e, sull’altro versante, il Terre dell’Alta Val d’Agri DOC e il Grottino di Roccanova DOC (prodotti nelle versioni rosso, bianco, rosato e spumante). La denominazione Basilicata IGT comprende i vini (bianchi, rossi e rosati) dei territori delle province di Potenza e Matera. Un pokerissimo niente male per una piccola regione circondata da terre enologicamente rinomate come Puglia e Campania e con estensioni vocate al vino ben maggiori, come il cosentino della confinante Calabria. D’altra parte, non sono poche neppure le eccellenze agroalimentari e le specialità gastronomiche dell’antica terra di Lucania, di cui si conserva tuttora felice tradizione e genuino sapore: dal celeberrimo peperone crusco di Senise al pecorino di Filiano, alla luganica di Picerno… per non parlare delle varietà di cereali originarie del grano duro, i pregiati Senatore Cappelli e Saragolla Lucana (triticum turgidum durum discendente dall’asiatico Khorosan, oggi commercializzato con il marchio di Kamut), o delle tipicità della cucina regionale, anch’essa espressione potente e verace di un territorio rurale rimasto in molte aree quasi incontaminato e fortunatamente poco industrializzato. Come abbiamo potuto constatare in due autentici santuari della gastronomia lucana, nei quali la tradizione contadina è magnificamente interpretata in chiave contemporanea: con un tocco di innovazione la proposta stellata dell’Antica Osteria Marconi di Giuseppe Misuriello, a Potenza, che con un “semplice” uovo al guanciale, porcini, tartufo nero invernale, spuma di patate e mollica di pane, lascia intendere il perché dei prestigiosi riconoscimenti ricevuti. Superbamente tradizionale quella della Trattoria Stano a Matera, storica insegna della ristorazione locale a conduzione familiare (fondata da Franco Stano con la moglie, poi partecipata da figli e nuore), cui l’apporto di freschezza, entusiasmo e gioventù delle ultime generazioni in azienda, in sala e in cucina (noi abbiamo avuto il piacere di fare diretta conoscenza di Valerio Stano e della moglie Laura Matei, cuoca ispirata e sopraffina), l’ambiente moderno, la gestione competente e garbata del servizio, la selezione di materie prime straordinarie e l’esecuzione dei piatti sapiente e appassionata, sembrano dare ancora maggior risalto e valore alla grande tradizione regionale (a breve l’articolo più dettagliato su queste due straordinarie degustazioni lucane).

Cantine on the road

Vitigno principe della regione, per prestigio, percentuale di superfici vitate (più della metà dell’intera viticoltura), di produzione di vini DOC e IGP (la quasi totalità), nonché di numero di cantine che lo imbottigliano (circa un centinaio), l’Aglianico del Vulture, nella sua versione Superiore, riconosce anche l’unica DOCG della Basilicata. E sebbene alcune  sue caratteristiche possano essere genericamente considerate rappresentative e comuni (il colore rosso rubino cosiddetto “impenetrabile”, la predominanza di un profumo elegante con sentori di frutta rossa matura, spezie e liquirizia, un’importante carica tannica, la predisposizione alla longevità e la vocazione agli abbinamenti gastronomici) le interpretazioni delle cantine che abbiamo visitato e che ci hanno fatto degustare le loro versioni (anche in più di un’annata!) sono felicemente differenti e uniche, ciascuna espressione oltre che di terroir, di individuale concezione enologica e di umana lavorazione. Un panorama ricco, variegato e poliedrico, proprio come il Vulture, il vulcano dalle sette cime da cui sgorgano acque oligominerali, con i due laghetti di Monticchio nel cratere, circondati dai boschi fiabeschi di una Riserva Naturale abitata da flora e fauna rare e preziose. 

Visite e degustazioni

Prima tappa, in rigoroso ordine di visita, la facciamo a Lavello, presso la Cantina Vitis in Vulture (vitisinvulture.com) che riunisce in cooperativa una cinquantina di soci (per una produzione di circa 200.000 bottiglie) in una spettacolare sede “di rappresentanza”, realizzata dall’architetto giapponese Hikaru Mori, secondo i principi e le regole del feng-shui , in contrada Finocchiaro di fronte a un sito archeologico in cui sono stati riportati alla luce reperti e tracce di attività dedicate alla conservazione del vino. “Terra di lapilli” – ci spiega Giuseppe Avigliano – “che regala sapidità, grazie alla ricchezza di potassio, e profumi intensi, dovuti alla forte escursione termica della vendemmia tardiva di metà ottobre-novembre, a tutti i vigneti, perché qui abbiamo il blasonato Aglianico del Vulture ma anche Falanghina, Fiano, Greco, Primitivo, Malvasia, Moscato…” da cui traggono ottime rappresentanze di bianchi e rosati, aggiungiamo noi: come il piacevolissimo Forentum, per citarne solo uno.

A Venosa troviamo il quartier generale della cooperativa sociale più grande della Basilicata con 350 aderenti, ovvero l’omonima Cantina di Venosa (cantinadivenosa.shop) che detiene tutta la forza della sua struttura collettiva e guarda avanti con spirito progressista e ragionato impegno nell’innovazione in termini di efficientamento ma soprattutto di sostenibilità. In posizione ventosa perfetta, ci spiegano, cioè equidistante (40 km) dalle “dolomiti” lucane e dal mar Adriatico, la cantina sociale ha eretto il primo stabilimento nel 1960, mentre un primo importante ampliamento risale al 1980. Negli anni 2000 il cambiamento di rotta determinante: passare dalla produzione per vino sfuso a quella in bottiglia, fino ai più ambiziosi progetti di alta qualità del 2012 e poi di controllo della filiera, che hanno portato a una crescita attestata sul 169% nel biennio post-pandemia. Oggi comunicazione, efficientamento e sostenibilità sono le linee guida degli interventi sull’attività produttiva e sugli impianti (fotovoltaici già da 10 anni): dall’impiego di tecnologie per il risparmio dell’acqua a quello di materiali riciclati/riciclabili e di colle vegetali, fino al monitoraggio del satellite Sentinel2, di cui abbiamo detto sopra, che per ora ha “generato” 3 referenze con l’obiettivo di arrivare e trarne 200.000 bottiglie. Dagli attuali 800 ettari di vigne (coltivate al 90% Aglianico e poi Malvasia di Basilicata, Moscato bianco, Merlot) abbiamo apprezzato il nobile Gesualdo, Aglianico in purezza affinato in botte e in acciaio e imbottigliato solo nelle migliori annate, il piacevolissimo Verbo bianco da Malvasia di Basilicata e uno strepitoso Tansillo, Metodo Classico Rosè da Aglianico del Vulture 100%, che conferisce all’elegantissima bollicina un tocco decisamente… “vulcanico”.

Inoltrandoci nel vulture-melfese, arriviamo a Ginestra, antica colonia albanese in cui sopravvivono tracce di tradizioni balcaniche e di lingua arbëreshe (per la quale è stato istituito uno sportello linguistico di tutela e valorizzazione). Qui, in collina, visitiamo la Cantina Michele Laluce (www.vinilaluce.com), vignaioli di famiglia, legati alla tradizione ma attenti alle buone pratiche ambientali del presente tanto da scegliere la coltivazione  biologica e l’impatto sostenibile, ambientale ed energetico, per produrre vini – per lo più Aglianico del Vulture DOCG e DOC – che esprimono con autenticità il carattere del territorio, rude, profondo e complesso. Come il fiore all’occhiello della cantina – l’Aglianico DOCG Le Drude – che, degustato in una verticale di 4 annate (2014, 2013, 2008, 2007), ha palesato nel corredo organolettico una veracità e una ricchezza che migliorano invecchiando, proprio come il buon vino secondo un vecchio detto.

Ma è a Rionero, alle Cantine del Notaio (www.cantinedelnotaio.it), che, tra etichette evocative come Il Preliminare, L’Atto, Il Repertorio, La Firma, Il Sigillo, La Procura, Il Lascito, o L’Autentica (pregiate variazioni sul tema dell’Aglianico del Vulture ma anche di Basilicata bianco e primitivo, Basilicata rosato, Basilicata bianco dolce, Spumanti Metodo Classico e Charmat, e Grappe da monovitigno Aglianico), apprendiamo le più affascinanti storie, cronache e memorie del Vulture, dai racconti dell’enciclopedico titolare Gerardo Giuratrabocchetti, figlio del “notaio” dell’insegna, ma da parte sua agronomo e zootecnico plurilaureato dalle cognizioni quasi sconfinate e dalle indomite curiosità. Tanta cultura del territorio, tradizioni contadine, ricordi di famiglia che sgorgano copiose come dalle sorgenti di acque minerali del vulcano, accompagnano il visitatore e lo guidano in un percorso eno-museale, tra reperti, attrezzi, testimonianze preziose e mille curiosità, fino al cortile sotterraneo (il “facìle”)su cui si affacciano i magazzini che scendono nelle grotte di tufo del 1600, dove ancor oggi sono situate le cantine con una collezione di bottiglie che ne hanno fatto la storia, nonché un incredibile presepe animato di inestimabile valore artistico ed etnologico. La degustazione dei vini non riserva minori sorprese poiché lo spirito di ricerca e d’innovazione del titolare è sotteso nell’evoluzione di ciascuna delle produzioni, mai scontate e sempre cariche di pathos lucano, pur avvalendosi delle competenze tecniche di illustri enologi e dei migliori strumenti di ricerca e sviluppo.

Sempre a Rionero un’altra chicca: la cantina Donato D’Angelo (donatodangelo.it), condotta da lui stesso unitamente alla moglie Filomena Ruppi, e alle figlie Emiliana (enologa) e Erminia Alessandra (marketing), un tris di (super)donne che conferisce particolare energia, creatività e forza propulsiva all’impresa. Origini ed esperienza si ritrovano in bottiglie capisaldi come l’ottimo Donato D’Angelo Aglianico del Vulture Doc, ma la voglia di rinnovamento che interpreta con saggezza i nuovi stili di enologia e, perché no, le mutate esigenze di mercato, la si ritrova nella proposta di un Aglianico in purezza che passa 18 mesi in botti di legno, il Calice, un vino di carattere, raffinato e contemporaneo, già meritevole di prestigiosi riconoscimenti.

Salendo su per il Vulture, la Terra dei Re  www.terradeire.com è la cantina più alta, la più contemporanea e la più spettacolare per stile architettonico e affaccio panoramico su una terrazza naturale. Non solo d’effetto l’estetica della struttura, ma anche molto accattivante la soluzione interna che lascia in comunicazione anche visiva le zone di accoglienza, di esposizione e di degustazione con l’area produttiva. Anche gli 800 metri di altitudine non sono solo un pregio scenografico della posizione, ma influiscono fortemente sul terroir, che può contare su un microclima freddo, ventilato, con una forte escursione termica. La vendemmia notturna, che mantiene l’uva a temperature più basse e ne preserva gli aromi più puri, ha addirittura ispirato un’etichetta, Nocte: un’interpretazione speciale di Aglianico del Vulture Doc, maliardo e intenso, ma non tenebroso, piuttosto avvolgente, già vincitore di importanti riconoscimenti. La scommessa più recente: un sovrainnesto di Pinot Nero, che a ridosso della montagna promette risultati sorprendenti…provare Vulcano 800 Rosè Metodo Classico per credere!

Un’ultima tappa la facciamo nel Metaponto, sullo Jonio, dove il possente Tempio di Hera (altresì detto Tavole Palatine, risalente al VI secolo a.C.) ci ricorda le origini dell’insediamento, una colonia di fondazione greca, e le Tavole di Eraclea (VI-III secolo a.C.), rinvenute in zona Policoro, ci confermano con epigrafi millenarie incise sul bronzo che la natura circostante è vocata all’agricoltura almeno da 4000 anni. Più recente delle suddette testimonianze di archeo-agricoltura, nella campagna metapontina c’è stata anche un’importante produzione di fragole, mentre oggi, in quel di Nova Siri, troviamo 36 ettari di vigneti ad agricoltura integrata sostenibile impegnata in progetti di rigenerazione del suolo impoverito di ultima generazione (come il  Biochar, un carbone vegetale sintetico) della Masseria Battifarano (www.battifarano.com), che la terra la coltiva a tutto tondo da 5 secoli (frutta, ortaggi, olio), oggi avvalendosi della scienza e delle moderne tecniche agronomiche per rispettare l’ambiente e la stagionalità dei prodotti nel modo più naturale possibile: “Noi conosciamo bene la nostra terra, palmo per palmo, così come è fatta. E produciamo in base ai suoi sapori, non in base ai nostri gusti” è il motto di Don Vincenzo Battifarano, il capo famiglia. Anche la centralina meteo installata dall’azienda per misurare le emissioni di CO2 (tra le più grandi d’Italia, con la sua copertura di 8 ettari) è un’espressione della volontà di “accudire” il territorio con strumenti tecnologicamente avanzati, per mantenerlo in buona salute e onorarlo per i frutti che ci dona, in continuità con gli antichi saperi della cultura contadina. Delle 18 cantine del metapontino 12 sono qui consorziate, nell’impresa di crescere varietà locali insieme a vitigni internazionali (Greco, Fiano, Primitivo, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot) e soprattutto di sviluppare produzioni di qualità anche su grandi numeri (per ora siamo sulle 100.000 bottiglie annue). Tra le etichette – Le Paglie, Curaffanni, Toccacielo – due in particolare raccontano nel nome proprio le origini e l’identità del territorio: Akratos, che in greco sta per “puro”, anticamente attribuito ai vini migliori non mescolati con l’acqua, in versione rosso Matera Primitivo DOC e rosè Matera Rosato DOC; e Toccaculo, un Basilicata Rosso IGT da Petit Verdot che prende il nome del torrente che attraversava le terre della masseria, cosiddetto perché costringeva le donne che dovevano attraversarlo ad alzarsi le gonne… Aneddoto debitamente riprodotto oltre che nel nome anche nell’illustrazione grafica dell’etichetta dell’imperdibile bottiglia.

Last but not least

Se l’assaggio dei vini lucani, Aglianico del Vulture in testa, ci restituisce l’esatto sentore di carattere e di spirito di questa terra, è un’esperienza carica di emozioni anche la scoperta dei suoi centri di civiltà, multiculturali più di quanto si possa immaginare; dei suoi borghi, di Potenza “città verticale”, o di Matera con i suoi celeberrimi “Sassi” dichiarati Patrimonio dell’Umanità Unesco; dei siti storici e naturalistici, come il Castello normanno di Melfi, i già citati Tempio delle Tavole Palatine nel Metaponto, o la Riserva del Parco Naturale Regionale del Vulture, che regalano meraviglie spesso inesplorate. E soprattutto l’autentica dimensione lucana, in cui risuonano echi di culture antiche e lontane, nobili e contadine, ma anche, forti e chiare, le voci di una realtà civica, di esigenze e aspirazioni di sviluppo sociale che sono la quotidianità del presente e la promessa di domani.

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