Testo e foto di Giulia Macrì
Udine è una città di buongustai, accogliente e ospitale; è facile al convivio ma, a casa o in osteria, non transige sulla qualità e sulla genuinità dei piatti. E a tavola la tradizione regna sovrana: come il menu tipico che ho avuto il privilegio di gustare, preparato con ricette di famiglia doc, ingredienti tipici e, naturalmente, qualche segreto di cucina.
Dal risveglio all’aperitivo, passando per pranzo, cena e merenda, Udine dispensa prelibatezze, cordialità e buon gusto, inteso, quest’ultimo, tanto come eleganza civica quanto come culto della qualità in fatto di enogastronomia. Crocevia d’influenze di terra e di mare, d’oriente e d’occidente, di montagna e di pianura, la città mantiene vive le tradizioni più autentiche dell’intera regione nella sua cucina, la quale esprime tutte le molteplici valenze e contaminazioni culturali e ambientali che ne hanno costituito la sostanziosa identità. E se nelle botteghe e sui banchi al mercato si trovano ancora i prodotti tipici del territorio e di stagione, e nelle osterie, all’ora dell’aperitivo, i cicchetti e le specialità locali, insieme ai vini eccellenti, la fanno da padroni, è in casa che si custodiscono i sapori più autentici delle ricette friulane: un fortunato invito alla tavola di una coppia di amici gourmet mi consente di darne convinta ed entusiastica testimonianza.
Metti una sera a cena
Friulani doc, fini intenditori, profondi conoscitori della cultura locale e delle sue eccellenze e cuochi provetti, Patrizia detta Patty e Peter (che però sono stimatissimi professionisti in tutt’altri campi!), hanno “apparecchiato” – in senso letterale – una cena con piatti tra i più tipici della cucina regionale, preparando tutto in casa e a regola d’arte. A cominciare dalla fartae cùn lis jèrbis una monumentale frittata di erbe miste (erba luisa, menta, basilico, maggiorana, timo, finocchio selvatico) e uova (tante), prezzemolo e cipolla, cotta a lungo in padella con il burro, fino a diventare un saporito composto, alto e spesso, poi tagliato a dadoni e servito come aperitivo con un perfetto Brut Metodo Classico da uve Pinot bianco e Chardonnay (affinate per alcuni mesi sui propri lieviti e poi rifermentate in bottiglia) dei Vigneti Pittaro. Insieme, tre autentiche eccellenze regionali: il Prosciutto crudo di Cormons, oggi prodotto artigianalmente solo dalla famiglia D’Osvaldo; lo Speck di Sauris e il Filetto affumicato di Ovaro. Tre prelibatezze depositarie di storie e sapori autentici. Il Prosciutto di Cormons ha il sapore delicato di un’affumicatura di legno di ciliegio, alloro ed erbe aromatiche delle colline dell’omonimo paese, nel Goriziano, reso più pieno e dolcemente saporito dalle salature massaggiate a mano e dalle sugnature lasciate poi stagionare all’aria per 16 -24 mesi. Lavorazioni che furono codificate negli anni ’40 e che oggi vengono eseguite solo dalla terza generazione della famiglia D’Osvaldo su un numero limitato di cosce (al massimo 4.000), per questo rinomatissime. Lo Speck di Sauris, invece, è prodotto a un’altitudine di oltre 1200 metri, sempre da cosce magre di suino allevato nel territorio, aromatizzate con sale, aglio, pepe e spezie naturali e affumicate con legno di faggio. E ancora dalla Carnia provengono il pregiato Filetto affumicato di Ovaro (in carnico Davâr) e ben tre delle altre specialità – tra le più rappresentative della cucina friulana – incluse in questo menu “vernacolare”.
Tradizione sovrana
Incastonata tra le Alpi a nord di Udine, la verdeggiante Carnia è una terra di “frontiera culinaria”, che ha raccolto influenze slovene, asburgiche e mitteleuropee, ungheresi, boeme e triestine, dando così vita e corpo a una grande tradizione gastronomica, che è diretta espressione del territorio e delle sue contaminazioni. I cui capisaldi sono senza dubbio i cjarsons, il frico e la brovada: tre ricette antiche, diffusesi dalle zone alpine fino alla pianura e diventate le specialità più tipiche e riconoscibili dell’intera regione. Fatti in casa, a regola d’arte, ma secondo le varianti locali, conditi delle memorie di generazioni e serviti con le storie di famiglia, come hanno saputo fare i nostri insuperabili ospiti Patty e Peter, questi piatti iconici hanno tuttavia assunto il sapore più intenso dei ricordi e delle emozioni e trasformato un menu di tradizione in un’esperienza di sensi e sentimenti davvero totale. I cjarsons, per esempio, prevedono innumerevoli varianti della ricetta della farcia, giacché ogni famiglia ha la propria. Quella di Patty prevede: 4 uova, 50 grammi di formaggio grattugiato, ricotta affumicata grattugiata, 50 grammi di burro miscelato con prezzemolo tritato, 4 cucchiai di zucchero, la buccia grattugiata di 1 limone, sale, uvetta sultanina, noce moscata, cannella, pane nero, latte. L’impasto morbido che ne deve risultare va disposto con un cucchiaino (circa 6-7 grammi la quantità di ripieno per ciascun cjarsons) sulla pasta preparata a parte (con farina 00, acqua bollente, sale, olio), stesa e tagliata a dischi con un bicchiere. Chiusi con maestria in forma di caramelle, sbollentati e serviti al piatto con burro, ricotta affumicata e cannella, i divini cjarsons di Patrizia recano il gusto e le consistenze perfetti di una formula evidentemente ben collaudata dalla cuoca esperta e dal suo genoma familiare.
Il celeberrimo frico, altro piatto-simbolo della cucina friulana classica, nella patria Carnia si presenta come un tortino alto e soffice, a base di patate grattugiate e formaggio Montasio di varie stagionature (3 mesi e 6 mesi), cotti insieme in padella per creare un composto morbido, pastoso e filante, poi gratinato per ottenere la tipica crosta dorata e brunita esterna. Per un risultato migliore – in termini di minore assorbimento di grasso – le patate non vanno lessate ma cotte direttamente da crude, prima di inglobare i formaggi. Ma la ricetta più antica e tradizionale è probabilmente la brovade e musét (brovada e musetto): preparata con le rape dal colletto viola marinate in casa, ovvero riposte in tini ove si alternano a strati di vinaccia di uve rosse friulane (secondo un rigoroso disciplinare) fino al riempimento del recipiente, che viene rabboccato con acqua e successivamente dà il corso a un processo di fermentazione in anaerobiosi, con acquisizione del tipico aroma. Le rape fermentano nei tini per almeno 40 giorni, poi vengono estratte, private della parte più esterna (con un pelapatate) e grattugiate in fettucce di circa 4 millimetri, con un apposito utensile (grati); quindi sono pronte per essere cotte anche in questo caso, in molte varianti di ingredienti in cottura. Il musetto è uno dei più tipici insaccati friulani, preparato con una concia di macinato di carne magra di maiale, cotica, muso, lardo sodo, aromi e spezie (sale, cannella, pepe garofanato, coriandolo e quant’altro…), inserita in un budello di maiale e messo a lessare in abbondante acqua bollente. Delicato, quasi dolce e molto aromatico, si sposa straordinariamente bene con la piccantezza delle rape fermentate, già ammorbidita dalle uve rosse della marinatura. Un piatto da veri intenditori, molto più “amabile” al palato di quanto non si pensi rispetto agli ingredienti e al complesso procedimento della loro preparazione. Ad accompagnare il tutto, non poteva essere che un formidabile Friulano dei Colli Orientali, etichetta Vigneto Storico dell’egregia cantina Gigante, di Corno di Rosazzo (Udine).
I dolci
Parlano dialetto stretto anche questi dolci tra i più classici friulani: i cròstui, o crostòli (tipo quelli di Carnevale, conosciuti come frappe, chiacchiere, nastri o galani), grandi fazzoletti friabili di sfoglia fritta, spolverizzati di zucchero a velo; la famosissima e squisita gubàne, o gubana, un dolce da forno antico (pare citato già in documenti del ‘400) di pasta lievitata a forma di chiocciola ripiena di noci, uva sultanina, granella di amaretti e pinoli. Infine l’altrettanto celebre presnitz, una torta di origine goriziana e triestina, costituita da uno scrigno di pasta sfoglia farcito di noci, mandorle, pinoli, uvetta, cioccolato, rhum, zucchero, cannella, scorza d’arancia candita e biscotti sbriciolati. Fragranti, profumati, aromatici e sostanziosi, sono, questi, i dolci della pasticceria tradizionale, immancabili sulle tavole delle feste e della domenica. E delle occasioni belle e speciali come questo convivio di buongustai, che ha saputo raccontare le cronache, i saperi e i sapori di un territorio e della sua gente attraverso i piatti storici della cucina popolare. Fortunatamente ancora viva e vibrante nelle mani sapienti e nei cuori dei nostri amabilissimi ospiti, cuochi non per caso, ma per passione.